SIAMO QUASI A SETTEMBRE E PRESTO ANCHE LA VALLE SUSA AVRA' IL SUO! CHE SIA UN DIVORATORE DI ROTAIE, O DI QUALCOSA D'ALTRO NON IMPORTA TANTO DOBBIAMO METTERCI NELLA CONDIZIONE DELLA FERROVIA ALTA CAPACITA' BENARES-BOMBAY PER ESSERE AL PASSO CON LA GLOBALIZZAZIONE!
Arriva l’annuncio ufficiale. In Francia la Tav Torino-Lione imbocca il binario morto
- Maria Ferdinanda Piva -
E’ proprio vero. La commissione Mobilité 21, incaricata dal Governo francese della spending review sui progetti di infrastrutture legate ai trasporti, ha fatto scattare ufficialmente il semaforo rosso davanti al tratto francese della Tav Torino-Lione. Rimandato a dopo il 2030: come dire, alle calende greche.
Oggi la commissione ha consegnato la versione definitiva del suo lavoro, che dovrà poi ricevere l’ok del Parlamento e del Governo. A voler fare la punta alla matita si può notare che Mobilité 21 non aveva espliciti incarichi sui progetti di tratte transfrontaliere: nel caso della Torino-Lione, il tunnel di 57 chilometri sotto le Alpi (costo pari a circa 8 miliardi di euro, di cui tre a carico della Francia e 5 a carico dell’Italia) da Bussoleno a Saint Jean de Maurienne.
In ogni caso, ammesso e non concesso che il tunnel in qualche modo sopravviva alla spending review francese, a Saint Jean la Tav imbocca il binario morto, senza se e senza ma: continuerà a funzionare solo la linea attuale per Lione, addio al vagheggiato tracciato più veloce.
Roma si rende conto di quel che succede a Parigi? Diciamocelo francamente: pare proprio di no.
Le news francesi danno ampio risalto alle conclusioni di Mobilité 21 e alle sue decisioni sulla TavTorino-Lione. In Italia invece squillano le fanfare per la recente ratifica in Consiglio dei Ministri dell’accordo del buco (il tunnel di cui sopra fra Bussoleno e Saint Jean de Maurienne): un accordo però raggiunto da Italia e Francia in gennaio, ben prima delle conclusioni rese pubbliche oggi da Mobilité 21.
Le fanfare squillano anche per il prossimo arrivo della talpa che comincerà il vero e proprio scavo del tunnel geognostico nel cosiddetto cantiere Tav di Chiomonte: col che il processo per realizzare l’opera “diventerà irreversibile”.
Attenzione: la talpa non scaverà il traforo ferroviario ma solo un cunicolo per vedere cosa c’è sottoterra e per poter così completare la progettazione del traforo, di cui il tunnel geognostico costituirà poi un’uscita di sicurezza.
Rendere “un processo irreversibile” lo scavo di un costosissimo buco che almeno fino al 2030 condurrà verso un binario morto?
Già la Tav Torino-Lione sarebbe stata inutile: esiste una linea ferroviaria parallela, recentementerimodernata e ampiamente sotto utilizzata. Spendere cinque miliardi per arrivare una manciata di minuti prima nel grazioso paese francese di Saint Jean de Maurienne (8.000 abitanti circa) mi sembra francamente fuori luogo: in Italia cadono a pezzi strade, scuole, trasporti, ospedali…
Anche in Francia, da questo punto di vista, non sono messi benissimo. La commissione Mobilité 21 ha infatti deciso che bisogna dare la priorità alle spese per mantenere in efficienza i servizi già esistenti e favorire i quotidiani viaggi dei pendolari.
Di solito ai francesi viene rimproverato un congenito senso di grandeur. La loro grandeur adesso consiste nell’aver capito che le grandi opere in questo momento sono assolutamente fuori luogo. L’Italia pezzente invece le rincorre per cucire paillettes sui suoi stracci sbrindellati. La dignità, decisamente, è tutt’altra cosa.
Alla vigilia della "notte dei fuochi" il filosofo Vattimo infiamma la discussione. Per il pensatore torinese in Valsusa c'è un “vuoto di democrazia” che giustifica forme di protesta “non istituzionali”. Provocazioni anticonformiste o lezioni di un cattivo maestro?
Partigiani o sovversivi? Patrioti o delinquenti? Mentre gran parte degli intellos nostrani ha abbandonato i No Tav e preso le distanze dalle derive estremistiche del movimento – a partire dallo scrittore-guruRoberto Saviano -, c’è chi rivendica non solo le ragioni di una protesta che oggi travalica gli stessi confini (geografici e politici) della Valsusa, ma difende anche i metodi di lotta, arrivati a comprendere vere e proprie azioni di guerriglia, con tutto il corollario di violenze pubbliche e private, blocchi autostradali, aggressioni a persone e cose. Tra chi sostiene legittima questa forma di conflitto c’è il filosofo Gianteresio Vattimo, detto Gianni, teorico del “pensiero debole” ed europarlamentare dell’Idv, dopo esserlo stato per i Ds e i Comunisti italiani. Ospite d’onore alle due “cene filosofiche” a Chiomonte e Bussoleno, il pensatore torinese ha tratteggiato quel filo rosso che, a suo dire, unisce Progresso e Infrastrutture, Alta Velocità e opposizione a uno Stato che rifiuta di dar ascolto alla popolazione. È volato alto, il professore, trattando a tavola di «Grandi opere e grandi narrazioni», come sintetizza in un colloquio con Lo Spiffero. Piatto forte: la critica alle istituzioni che da anni «truffano l’Europa e non adempiono alle stesse condizioni imposte da Bruxelles». E sul crinale delle teorie giusnaturaliste e del diritto positivo, sull’esercizio del potere da parte di uno Stato che tradisce la stessa essenza della rappresentanza democratica, il vispo Gianteresio concede la piena legittimità alla lotta No Tav, sovvertendo – lui che da natali democristiani sale oggi sulle barricate con le sue 77 primavere sul groppone – il luogo comune che vuole imberbi incendiari tramutarsi in attempati pompieri.
E alla vigilia della “notte dei fuochi”, in programma questa sera a partire dalle alle 23 al campeggio di Chiomonte e sulla strada che da Giaglione porta al cantiere all’altezza dell’autostrada, ha infiammato la platea. Ma in che modo la contrarietà a un’opera può conciliarsi con le azioni violente di questi ultimi mesi? È possibile giustificare l’uso della forza da parte di un movimento che nei fatti agiscelegibus solutus? Come sempre, è questione di mezzi e fini, come diceva Benjamin “la giustizia è il criterio dei fini, la legalità è il criterio dei mezzi”. Per Vattimo tali azioni sono legittime: «Le manifestazioni e i blocchi stradali sono utili di fronte a un vuoto di democrazia. In una valle in cui lo Stato ha preferito la militarizzazione all’ascolto». E ancora: «Le inadempienze pubbliche giustificano forme di lotta non istituzionale». Insomma, lo Stato viene meno ai propri doveri, rompe il patto con (una parte) dei suoi cittadini e questi si riappropriano di prerogative, come l’uso della forza e della coercizione, per perseguire i propri obiettivi.
Vattimo, studioso di Heidegger, è proprio dal padre dell'esistenzialismo che prende le mosse, secondo il resoconto che fa Luciano Davi sul suo blog. “La vera emergenza è la mancanza di emergenza” sosteneva il filosofo tedesco da sempre contrario alla metafisica. «Bisogna recuperare l’esistenzialismo» sostiene Vattimo, rendersi conto attraverso esso che viviamo per lottare. Heidegger sosteneva che l’esistenza fosse “progetto”, che l’uomo rappresentasse di per sé l’idea del cambiamento. E Heidegger non è Kant, che ha occhi per osservare il mondo, per descriverlo e sistematizzarlo; per Heidegger l’uomo è “progetto”, non guarda il mondo per prenderne atto, ma per cambiarlo. L’idea di osservazione che ci è stata tramandata è un’idea statica di contemplazione, di una realtà ordinata. È quindi più facile intimare di cambiare se stessi che cambiare il mondo; ma il conflitto, generalizzato ormai, si stringe attorno a un capitalismo di sfruttamento che collide con tutto il resto della società che rimane esclusa. La tecnicizzazione della politica che si è avuta in Italia è il percorso che dai tecnici, di per sé neutrali nelle proprie specifiche competenze, rimette la gestione della cosa pubblica, della politica, in mano ai banchieri. “Persino Gobetti” dice Vattimo “si scandalizzerebbe a vedere calare dall’alto tecnici che impongono una stasi ad un sistema che, anziché progredire, retrocede all’interno sempre del medesimo schema composto da uno sfruttato e da uno sfruttatore”. Nulla come il conflitto può innescare quel cambiamento che è progetto, sia a livello umano sia a livello sociale. E la lotta NoTav risiede proprio in una logica di conflitto. “Vivo politicamente perché ci siete voi” dice Vattimo, “perché ci sono fenomeni di lotta come il NoTav o il NoMuos”. Poiché l’unica speranza risiede nella moltiplicazione dei conflitti territoriali. In questo senso allora, le lotte sprigionate dai conflitti territoriali non solo promuovono il cambiamento, ma arginano quel pericolo di tornare al fascismo che risiede nel crescendo di difficoltà e conflitti sociali in corso. Sono le azioni locali, diffuse, che ora come ora si offrono come unica azione atta a impedire l’insorgere di un regime in piena regola. È necessaria la filosofia per non perdersi nei conflitti di parte, perché ogni conflitto è calato in un conflitto globale.
Un concetto che in parte ribadisce anche un altro intellettuale torinese che di Vattimo è stato tra gli allievi più brillanti, Diego Fusaro, filosofo neo-marxista, columnist dello Spiffero. La sua argomentazione parte da alcuni presupposti sulla natura antropologica della sinistra domestica: «Innanzitutto non si deve cadere nell’errore tipico della sinistra che quando c’è il popolo in piazza vi scorge sempre un elemento rivoluzionario, alla perenne ricerca di un revival sessantottesco». «Detto questo, però, sostengo che chi vuol essere coerente non può puntare il dito contro i No Tav senza condannare la vera violenza che ci viene perpetrata quotidianamente: quella dell’economia sugli uomini, delle agenzie di rating, del Fondo monetario internazionale, dell’Europa. Oggi la democrazia non esiste. Oggi lo Stato italiano e quindi il suo popolo non sono sovrani sul proprio territorio, basti pensare allo scempio delle basi militari americane. E’ il mercato la violenza di tutte le violenze e il presupposto che la velocità con cui viaggiano le merci sia più importante di quanto pensi una comunità ne è la testimonianza». In questo senso, secondo Fusaro, Vim vi repellere licet, ovvero è lecito respingere la violenza con la violenza.